Lockdown, pigrizia digitale e supremazia del semplice

Roma, 5 novembre 2020

 

di Luciano Vanni

Ho appena ricevuto, direttamente dall’Ufficio Stampa del Mibact, questo comunicato.

Sono quelle notizie che fanno male al cuore, ma questo è il nostro tempo.

E allora abbiamo una doppia responsabilità civile: rispettare queste regole, ma allo stesso tempo adoperarci affinché emerga un ragionamento che vada oltre la cronaca e rifletta – e si misuri possibilmente – sul futuro, e quindi sull’impatto sociale e pedagogico che queste misure avranno nei confronti:
• della cultura [e quindi sul fronte dell’educazione, della pedagogia e dell’apprendimento];
• delle arti dello spettacolo [e quindi per tutto quello che concerne il teatro, la musica e la danza];
• della tutela del nostro patrimonio storico artistico e ambientale [musei, siti archeologici, oasi naturalistiche, etc.].

Rispondere con dirette streaming, app e storie social, durante il primo lockdown, ha significato far compagnia al pubblico e non interrompere servizi e relazioni, ma abbiamo abituato, e peggio ancora abilitato, i giovani e la società civile a vivere senza presenza fisica.

Ma quando la tecnologia sostituisce, invece che essere integrativa, può generare un cortocircuito sociale, cognitivo e antropologico: un’abitudine all’isolamento che ha trasformato i device in strumenti per andare a scuola, conoscersi, festeggiare compleanni, innamorarsi, assistere a concerti e viaggiare.
Ci sono due temi rilevanti e connessi su cui riflettere, per il futuro:

  1. La pigrizia digitale e la solitudine tecnologica > Occorre essere consapevoli che «l’abuso di dispositivi digitali riduce le capacità di apprendimento».
  2. La supremazia del breve e del semplice > Stiamo abituando i giovani alla semplicità e al breve, tra chat, tweet, playlist precostituite, storie e mini-serie in streaming che, peraltro – come sta emergendo dai dati sulle serie rinnovate e cancellate da Netflix e Amazon – oramai hanno la durata media di due stagioni, perché tutto si consuma con velocità.
    E poi ci domandiamo perché, tra i giovani – e più diffusamente tra la società civile – si registri una mancanza di desiderio e un disinteresse verso il teatro, la musica dal vivo di qualità, la lettura, i musei e la politica? Semplice: non siamo più abituati ad affrontare la complessità e la meditazione.

Piccola nota finale. Non buttiamolo via questo tempo, e utilizziamolo al meglio.

Investiamo tutto ciò che abbiamo e sappiamo sull’educazione, sulla formazione, sullo studio e sulla ricerca.

Ricordandoci che la migliore tecnologia sono il nostro cuore e la nostra testa.