Coraggio

Roma, 30 gennaio 2020

di Luciano Vanni

Coraggio‘ è una delle parole più maltrattate del nostro tempo, tanto da aver perso, di fatto, il suo significato e il suo valore più profondo. Complice la narrazione della cronaca o semplicemente per assuefazione cinematografica, la parola ‘coraggio’ è diventata sinonimo di forza, di audacia e di sfida – o peggio ancora di impudenza e sfacciataggine – quando invece la sua origine etimologica ci dice che essa deriva dal sostantivo latino cŏr e dal verbo latino habere: ovvero, ‘avere cuore‘. Possedere coraggio significa quindi ‘agire con sentimento‘, avere la forza di seguire il proprio cuore nelle scelte che si compiono nel quotidiano, nutrire sentimenti ‘razionalmente ed emotivamente positivi’ ed educare al bene il nostro ‘corpo sottile’, quello che sta sotto la pelle.

Il momento storico che stiamo vivendo richiede coraggio. Oggi è il 30 gennaio e da Roma, la città in cui abito con moglie e due bambini, ci viene comunicato che il Covid-19 si è ufficialmente affacciato anche nel nostro Paese attraverso due turisti cinesi. La notizia è forte, perché abbiamo tutti negli occhi le immagini che arrivano dal territorio dell’Hubei e dalla metropoli di Wuhan, dove sessanta milioni di cinesi sono costretti a indossare mascherine in un isolamento forzato per evitare il diffondersi di questo virus. Ne sappiamo poco del cosiddetto ‘Coronavirus‘, ma ciò che ci viene raccontato mette paura, perché ci viene descritto come letale, soprattutto per gli anziani e per le persone più fragili. È tutto lontano, per ora, e forse lo sarà anche in futuro: ma ciò che fino ad oggi abbiamo vissuto come remoto, e che per adesso non ci sfiora, potrebbe diventare la nostra cronaca. Non accadrà, siamo positivi, ma occorre prepararsi, perché – checché ne dicano i sovranisti e i nazionalisti – le frontiere e i confini sono solo limiti immaginari, la razza umana è una sola, e siamo tutti parte dello stesso destino; e davanti a epidemie, così come a disastri ambientali, il lontano e il vicino combaciano, come in un’unica famiglia. Ecco, dobbiamo forse abituarci all’idea che in futuro occorrerà trovare sempre di più soluzioni collettive, come sanno fare le famiglie o le piccole comunità locali più generose e intraprendenti: perché sarà il mondo di ieri a salvare quello di domani, e il mondo di ieri è quello della porta aperta, della cooperazione, della sussidiarietà e della generosità, quello della fiducia e del coraggio.

Chi abita, come noi, il mondo della cultura, della musica, della creatività e del terzo settore avrà un ruolo importante in questo prossimo futuro, comunque vada, perché abbiamo una certa confidenza con la parola coraggio e perché siamo abituati a stabilire un nesso tra coraggio, creatività, intraprendenza e solidarietà. Sappiamo che la cultura, la musica e l’arte possono rappresentare ottimi enzimi per superare timori, paure, solitudini e frustrazioni, perché sono strumenti di valore sociale e pedagogico, oltreché estetico e spettacolare. Ma anche noi abbiamo delle debolezze e delle fragilità: chi fa musica, arte e cultura è incapace di agire con il distanziamento sociale e rischia di sentirsi solo e non più utile. Ecco perché è il tempo del coraggio, il coraggio della responsabilità sociale di chi fa cultura e arte, per essere al servizio degli individui più fragili che compongono la collettività, per individuare i nuovi bisogni emergenti, svolgendo un ruolo attivo e generoso; consapevoli che il palco è ovunque, in una piazza o in un balcone di casa, al mercato, in un carcere o in un’aula di scuola primaria, in un ospedale o in un chiostro condominiale. E allora, vivere un momento di ‘incubo sociale e sanitario’, potrà a suo modo diventare una preziosa occasione per dimostrare che senza cultura, senza musica e senza arti è impensabile pensare a un mondo migliore e a persone migliori: e che la cultura e la creatività generano sempre nuove opportunità.